La figura del conservazionista

È soprattutto un attitudine non necessariamente una professione: andiamo a scoprire insieme cosa intendo

01 dicembre 2022

Quando iniziai il mio percorso di studi avevo un’idea contorta della conservazione. Ero in un certo senso corrotta dalla società in cui viviamo, in cui, scattare una foto molto vicino ad un selvatico, tenere in braccio un leone o cavalcare un elefante rientrano nelle attività che tutti vorremo fare una volta nella vita.

Successivamente, studiando il comportamento e comprendendo a fondo la biologia di ogni specie, mi sono resa conto che quello che per noi può sembrare una forma d’amore, spesso per gli animali è una vera e propria condanna. Quante volte abbiamo cibato un selvatico senza pensare alle conseguenze? Senza pensare che poi quell’animale avrebbe perso l’abilità di cacciare abituandosi e dipendendo completamente dalle risorse fornitegli dall’uomo, quante volte non abbiamo pensato che animali più confidenti con noi saranno più confidenti anche con bracconieri e possibili cacciatori? Quante volte non abbiamo riflettuto sul fatto che animali che si avvicinano troppo al bordo della strada spesso poi restano feriti gravemente o addirittura morti investiti da un camion o da un auto?

Purtroppo sono molte queste persone. Sono io la prima ad ammettere di farmi spesso pervadere dall’empatia che provo nei confronti degli animali, convincendomi di essere il San Francesco degli anni 2000 o il nuovo Dottor Doolittle. 

Tutto al contrario il conservazionista è colui che tramite la divulgazione dovrebbe riportarci con i piedi per terra e farci rendere conto di quanto certi nostri atteggiamenti (seppur fatti con amore e in buona fede) siano profondamente egoistici e sbagliati. Non bisogna avere un titolo accademico o chissà quale riconoscimento per essere conservazionisti, basta avere una determinata attitudine, un amore verso gli animali che prescinde dalle tradizioni e dai falsi miti. Il conservazionista è colui che riconosce in ogni animale il suo valore intrinseco al di là di quello che è il valore utilitario dell’animale stesso per l’uomo. Per il conservazionista non esistono animali belli e animali brutti, ma semplicemente animali. Quante volte mi sono ritrovata di fronte a persone che mi dicono: io amo i cani e i gatti, ma gli insetti proprio non posso vederli. Ci siamo mai chiesti come mai? Perché la maggior parte delle persone ha questa repulsione nei confronti di insetti, ragni, pipistrelli e un amore smisurato verso i mammiferi? Tutto questo è spiegabile tramite il concetto di biofilia, la tendenza che l’uomo ha nei confronti di animali e l’empatia che prova verso questi, in particolare verso gli animali che più ci assomigliano e che conosciamo meglio. D’altronde per definizione l’uomo ha sempre avuto paura di ciò che non conosce, e sicuramente conosciamo meglio i panda, rispetto ai ragni marini che vivono nelle profondità dell’oceano. 


I conservazionisti devono però fare i conti con questa realtà, quanto deve essere difficile fare un progetto di re-introduzione di animali poco amati dalla gente? Come si fa a far cambiare idea alla gente sul lupo, animale cattivo e da sempre nemico dei pastori? È complesso e forse tra tutti gli aspetti della biologia della conservazione, il nodo più difficile da sciogliere sta proprio nel fatto che questa disciplina è una disciplina del popolo, le persone vanno educate, vanno informate e vanno sradicate da certi pregiudizi e preconcetti. Perché di fatto la conversazione deve arrivare alla porta di chiunque, non può essere praticata solo da poche persone, tutto il popolo deve collaborare per il mantenimento della sua fauna e della sua flora. 


Ecco quindi alcune regole che un buon conservazionista deve sempre seguire secondo me: 

  • Mai cibare animali selvatici

  • Non interagire con animali selvatici

  • Essere sicuri di aver compreso la differenza tra animali selvatici e animali domestici: se vediamo un cucciolo di volpe al bordo di una strada che ci sembra indifeso e abbandonato, portarlo a casa con noi e tenerlo per il resta della vita non renderà la volpe un animale domestico. La domesticazione è un processo evolutivo che necessita migliaia di anni capace di cambiare caratteristiche fenotipiche e genotipiche dell’animale in questione.

  • Se troviamo un piccolo uccellino o qualsiasi altro “cucciolo”, lasciamolo esattamente dove lo abbiamo trovato. Probabilmente la mamma è nei dintorni e passerà a recuperarlo.

  • Non divulgare fake news su avvistamenti di animali non autoctoni

  • Non comprare animali al centro giardinaggio della nostra città se non siamo sicuri di poterli tenere in casa! In particolare negli ultimi anni c’è stato un aumento smisurato della presenza della tartaruga palustre quindi di acqua dolce Trachemys scripta proveniente dall’America, fortemente invasiva, che ad oggi causa diversi problemi negli ecosistemi italiani.

    conservazione
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Credits Foto

Parco Abruzzo

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